mercoledì 29 ottobre 2014

"Hiroshige, da Edo a Kyoto" - Venezia, Palazzo Grimani


Sarà il mettere piede in camper o forse il tornare, dopo un bel po' di tempo, a viaggiare per correre. Fatto sta che c'era parecchia carica positiva in questa 24 ore di fuga dalla quotidianità.
Venezia non è mai stata la nostra meta preferita.
Una città difficile, pur oggettivamente meravigliosa. Sempre troppo qualcosa o sempre troppo poco qualcos'altro, ma mai esattamente come la cercavamo.


Venezia rievoca in me ricordi vividi di un Milan-Samp di non so quanti anni fa, ascoltato con la radiolina all'orecchio nel giorno del ruggito blucerchiato di Ruud Gullit, da grande ex. Sconfortante, lo ammetto. Per i miei, di certo dev'esserlo stato, al tempo.
Era difficile prevedere che sarei stato io, un giorno, a spingere per tornarvi, mosso per di più dal desiderio di visitare una mostra allestita in uno dei palazzi che tanto i miei mi decantavano, dedicata alle opere di un pittore dell'Ottocento giapponese.
Sabato pomeriggio, sotto un sole spettacolare per essere fine ottobre, scherzavamo proprio su quanto questa realtà rappresenti un'inconfutabile evidenza del tempo che passa. Specie se associata al fatto che ad entrambi, per la prima volta, Venezia è apparsa ... parecchio suggestiva.
E allora abbiamo glissato, attribuendo al fattore "corsa" il merito del miracolo.
Ciononostante, una volta scesi dall'autobus in piazzale Roma, non è stato difficile optare per una bella camminata a piedi. Una discreta scarpinata, fra vicoli, ponticelli e canali. Fino a piazza San Marco ed ancora oltre, immaginandoci in quello stesso sfondo, il giorno seguente, con la medaglia al collo.

Palazzo Grimani sorge a Santa Maria Formosa in un cortile riservato, silenzioso, lontano dagli sfarzi della vicina Fenice, di piazza San Marco o di altri edifici ben più noti nei paraggi. È adatto per ospitare la mostra di Hiroshige, intimo, in maniera appropriata. L'imponente scalinata si apre su un largo salone, in penombra, sulle cui pareti troneggia l'illustrazione che fa da vetrina alla mostra. Ci viene suggerita la direzione di visita, le informazioni di dettaglio relative alle stampe esposte sono a fianco delle opere, raccolte in esplicativi pannelli bibliografici. Apprezzo l'autonomia, di tempo e soggettività, che le luci soffuse e l'assenza di guida onnipresente conferiscono all'allestimento. Permettono di gustarsi le opere con i propri ritmi.



Il titolo della mostra è “Hiroshige. Da Edo a Kyoto: vedute celebri del Giappone. La collezione del Museo d’Arte Orientale di Venezia” e sarà disponibile fino all’11 gennaio 2015.
Nell’ambito dell’allestimento, trovano collocazione le xilografie policrome di Utagawa Hiroshige (1797-1858), uno dei supremi esponenti dell’ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante, della vita che passa), indiscusso maestro del paesaggio ed assoluto protagonista dell’arte giapponese, definito il “cantore della natura”.
Tutte le opere esposte sono conservate presso il Museo d'Arte Orientale di Venezia.

Si inizia con il Soga monogatari Zue (Storia dei Soga), serie composta da Hiroshige fra il 1846 ed il 1847. Le stampe sono ispirate alle vicende (fine XII secolo) dei due fratelli Soga, Gorō Tokimune e Jūrō Sukenari, che decidono di vendicare la morte del padre, ucciso da Kudō Saemon Suketsune quando erano ancora bambini, sacrificando la loro stessa vita.
Le stampe, verticali, fondono il genere musha e (guerrieri ed eroi) con quelle teatrali, visto che la vicenda era molto popolare nelle rappresentazioni di teatro jōruri, nō e kabuki.


Nella sala successiva, ci si tuffa nell’atmosfera di una delle serie più famose di Hiroshige, la “Gojūsan tsugi meisho Zue”, o cosiddetta Tōkaidō tate e“Tōkaidō verticale”, con le vedute delle sue 53 stazioni di posta, pubblicata nel 1855. 
Il Tōkaidō (alla lettera, strada del mare orientale) è la via che metteva in comunicazione le due antiche capitali imperiali: Edo (attuale Tokyo) e Kyoto. Una strada lunga oltre 500 chilometri, percorsa incessantemente da viandanti, pellegrini, guerrieri e feudatari, dal fascino memorabile, tanto da ispirare all’artista diverse serie di xilografie, a partire dal 1833, incentrate sugli splendidi scorci in concomitanza delle famose “53 stazioni di posta”.

stazione n. 17 - Yui
Fra le mie preferite in assoluto, la stazione numero 17, dedicata a Yui ed al ripidissimo sentiero sul Passo Satta e la 54, che raffigura la veduta del lago e della città di Ōtsu dalla sala dedicata a Kannon nel tempio di Mii. Particolarmente incisiva anche la numero 13, Numazu, con la veduta dei monti Ashigara e del monte Fuji.

stazione n. 54 - Ōtsu 

In tale serie, Hiroshige sceglie un punto di osservazione elevato, rispetto al panorama rappresentato, che sovrasta le figure umane. Una necessità stilistica imposta dalla scelta del formato verticale, piuttosto desueto per l’epoca, se accostato alla rappresentazione di paesaggi. Scelta che sarà ripresa anche in un’altra serie capolavoro del pittore, espressione della propria maturità artistica, composta poco prima della morte: le “100 vedute di luoghi celebri di Edo".
Scenografico l’impatto della sala con i volumi di stampe xilografiche, di proprietà del Museo d’Arte Orientale di Venezia, rilegati e tenuti sotto teca.

Molto interessante anche l’allestimento della Tōto Kyūseki Tsukushi (Racconti illustrati dell’antica Edo), nella quale Hiroshige abbandona il soggetto prediletto, ovvero la rappresentazione dei paesaggi, per dedicarsi al tema di carattere storico e leggendario, come imposto dalle riforme dell’era Tenpo (1830-1844). La serie, pubblicata nel 1845, abbina gli scorci più caratteristici di Edo alle leggende del folklore giapponese. 
Mi è piaciuto particolarmente, infine, l’ultima serie realizzata dall'artista nel 1858, Le trentasei vedute del Fuji, nella quale è evidente l’influenza artistica delle opere di Hokusai.

Una bella mostra.
Opere di valore, ottimamente conservate, altrettanto ben esposte e soprattutto perfettamente valorizzate con adeguate informazioni e note esplicative. Ho decisamente apprezzato l’allestimento volutamente intimista, silenzioso e con luci basse.
Unica pecca, la brevità dell’esposizione. Mi sarei trattenuto ben oltre l’oretta di visita, dato l’interesse dei contenuti, ma purtroppo le opere esposte non erano tantissime.

Così, a mostra conclusa, ne abbiamo approfittato per goderci un’altra passeggiata per Venezia al tramonto, sfruttando l’ultimo giorno del 2014, prima del cambio dell’ora. Che con l'avvento di quella solare, è ufficialmente inverno, a casa mia.

Aria pungente, cielo da copertina ed il Giappone che si fa di colpo lontano.



Perché sui ponti, la testa già corre alla mattina seguente e a quei 10 chilometri di pura adrenalina che ci attendono.

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