martedì 29 luglio 2014

Tokyo Orizzontale, di Laura Imai Messina


2014 - Ed. PIEMME - pagine 264

Il contrasto sta tutto nel titolo.
Perché Tokyo, nell’immaginario collettivo, fa rima con verticale.

A farci capire invece quanto possa essere affascinante anche la sua versione rasoterra, ci ha pensato Laura Imai Messina con il suo romanzo d’esordio. Tokyo orizzontale, per l’appunto.
Giovane autrice, Laura, classe 1981, nota ai più come curatrice del seguitissimo blog Giappone Mon Amour, nel quale racconta al web la sua vita di ragazza italiana che ha trovato la propria dimensione fra le bellezze, le contraddizioni ed i paradossi della capitale giapponese.
Tokyo al centro, e di nuovo contrasto.
La Tokyo che fuoriesce dallo schermo del pc, fra le righe del suo blog. Bella, solare, ricca di delicatezza e particolari nascosti che ne racchiudono i segreti più inebrianti. E quella che traspare dalle pagine del suo romanzo, fra le tinte scure delle sue notti, illuminate dai neon accessi e dalle luci scintillanti di Shibuya e Shinjuku.


"Il piacere di sbagliare non si rinnova nel ripetere l'errore. Una volta è perfezione. Due è accanimento."

Un contrasto che è figlio dell’esperienza personale. Di storia di vita vissuta, dei dieci anni in cui l’autrice ha intrecciato la sua esistenza con il groviglio della rete ferroviaria di Tokyo, elemento ricorrente nella narrazione. Uno dei tanti livelli, delle tante facce di cui è composto e si anima il suo romanzo. Perché osservando dai finestrini di un treno, si colgono i movimenti e le sfumature della città, nel complesso mutare di trucco che Tokyo sfoggia passando da un quartiere all’altro. Sia che si guardi oltre i vetri, verso l’esterno, sia che si indaghi all’interno del convoglio, fra gli sguardi e le vite di chi Tokyo la vive, o la subisce, ogni giorno.
Dettagli che Laura confeziona e ci regala con ugual efficacia, alla sua maniera.
Con la sua prosa fatta di metafore ed immagini sospese, in cui Tokyo assume i connotati dell’essere umano. E qui Tokyo Orizzontale e Giappone Mon Amour azzerano le distanze. Qui, dove lo stile architettonico del narrato emerge con forza e diventa elemento di riconoscimento.
"Tokyo sorride. Quelle gomme le fanno il solletico, la eccitano. Come un polpastrello che scorre sulle linee della carne, sui pori spalancati del bacino, sulla curva della schiena. Ed esercitano una piccola pressione sulle porzioni di strada che precedono ogni attraversamento pedonale. 
Una breve sosta e le gomme affondano con il loro peso nella carne. Pochi istanti, un movimento di frizione e Tokyo chiude gli occhi per sentire in che direzione si stia muovendo la vettura, lungo la gamba o sotto l'arco delle ascelle, sul dorso della mano o dietro la nuca che bruscamente si interrompe per dar spazio al suo collo lunghissimo e altero." 
Nel vortice di avvenimenti e stati d’animo che avvolge l’esistenza dei protagonisti nei “tre giorni destinati a cambiare per sempre il corso delle loro vite”, c'è probabilmente una forte componente autobiografica. Lo si desume dai credits a fine volume, lo si media dai parallelismi con il blog o più semplicemente lo si costruisce con l’immaginazione, forse sbagliando in pieno, ma questo poco importa. Quel che conta è che le figure chiave della storia ci appaiano pulsanti di vita vera. Perché l’autrice lascia cadere una goccia di sé e della propria stessa esistenza in ciascuno dei personaggi che animano Tokyo Orizzontale. La riversa nella fretta di Sara, nei silenzi di Hiroshi, nella maschera di Carmelita e nella vulnerabilità del cinismo di Jun.
Illustra un percorso emotivo, che si nutre di insoddisfazione e rabbia, di ricerca e rivalsa, di solitudine e bisogno d’amore. E’ la ricerca spasmodica di comprensione, di sicurezza e di accettazione. Di un punto fermo dal quale ricominciare a costruire una vita nuova, migliore e appagante. E’ lacerazione per il proprio passato e strenua fiducia in un dettaglio capace di far risplendere il proprio futuro. Desiderio di Qualcuno capace di sedare il proprio tumulto interiore, portando ordine e serenità.
Poi, al di sopra di tutto, c’è sempre Tokyo.
Ora sullo sfondo, nascosta fra le righe degli eventi e molto più spesso in primo piano, perfettamente a suo agio nel suo soverchiante protagonismo. La Tokyo “con la faccia sporca” delle notti di Shibuya, quella “tentacolare che non sbatte mai le ciglia” di Shinjuku, talvolta con la febbre alta e talune altre con un accenno di singhiozzo. Caotica e impersonale allo stesso tempo, trionfo della moltitudine in cui si finisce per sentirsi immancabilmente soli. Ammiccante e trasgressiva, intrisa di sesso a mente assente, di notti che diventano giorno e giorni che diventano notte come lo era stata la Shangai di Zhou Weihui, anche se i parallelismi fra Shangai Baby e Tokyo Orizzontale si fermano qui, in una contrapposizione netta fra l'esplicitamente ostentato ed il volutamente lasciato solo intravedere.


"Non passa la passione. E bisogna essere belli per meritarsi quella goccia di passione, bisogna essere buoni, educati, eleganti, colti e corretti. Bisogna essere perfetti. Così la pensano tutte quelle persone che non hanno mai accettato fino in fondo che essere se stessi significa rinunciare a essere meglio di quello che si è".
Tokyo ruba spesso la scena. Diventa rifugio per le straniere Sara e Carmelita, terra promessa in cui resettare il proprio contatore e ricostruire ogni cosa. O sperare di farlo. Quella dei tokyoti Jun e Hiroshi, cui sta stretta nella sua ingombrante personalità, fatta di legami familiari fra loro così diversi ed allo stesso tempo così ugualmente opprimenti.
Tokyo è in ogni sfumatura del romanzo. Nei vocaboli giapponesi che sanno di quotidianità, nella parrucca verde di Masako, nelle linee ferroviarie e nelle città dentro la città. Nei love hotel e manga kissa, nei grattacieli e negli Starbucks, nelle conversazioni dei protagonisti e nei riflessi sensoriali che la scrittura di Laura è così abile a scatenare.
Perché la sua scrittura accarezza con delicatezza anche quando racconta le ombre. Sfiora e ugualmente resta impressa. Una sceneggiatura che ammalia, dipinge immagini e suggerisce inquadrature, spunti di osservazione. E Tokyo ci rimane dentro, inesorabilmente.
"Shibuya stasera ha la febbre alta. L'influenza ha preso lo Shinkansen da Kobe, è passata per Osaka e da lì, infine, è giunta nella capitale. Gira da giorni per le strade di Tokyo, supera agilmente i passaggi a livello, si insinua sotto alle mascherine della gente e vi innesta la fobia. Shibuya l'influenza non ce l'ha, la sua febbre è come quella dei bambini, che si ammalano di troppa eccitazione." 

A leggere Tokyo Orizzontale in piena ribellione di cuore e spirito, temo si corra il rischio di voler volare su Narita all’istante. Illudersi di centrifugare nello stomaco di Shibuya le proprie frustrazioni, annegare nelle notti di Shinjuku i propri contrasti e cercare riparo e conforto nella puntualità dei treni della Yamanote. Ignorando, più o meno consapevolmente, la perla di Seneca che apre il volume. Il che, a volte, non è sempre detto sia un male.
Leggerlo invece con il tumulto interiore appianato ed il sorriso disteso, agevola confronti e bilanci delle proprie esperienze, lasciando che lo stile ispirato del testo svetti sul resto. Facendoti godere appieno, con più disillusione ed altrettanto piacere, di scorci e prospettive di una Tokyo così ricca di contrasto da renderla magnetica ed irrimediabilmente affascinante.


In entrambi i casi, l’impulso di assaggiare il Giappone di persona è inevitabile.

2 commenti:

  1. Grazie di cuore di una lettura così incredibilmente attenta, sentita.
    Arrivo qui ogni tanto, quando lasci i tuoi intensissimi commenti sul mio blog.
    Ed è bello ritrovarcisi dentro. Sentirsi letti e così apprezzati. Grazie di cuore Filippo, L.

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    1. Questa sì che è una sorpresa!
      Mi fa davvero molto piacere ospitare un tuo commento sulle mie pagine.
      E' che ci tenevo a condividere quanto di bello mi ha trasmesso il tuo scritto. Complimenti Laura.

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