martedì 10 febbraio 2015

La Porta, di Natsume Sōseki


Fra i modi migliori che conosco per fare un tuffo nell’atmosfera giapponese, ce n’è uno che non tradisce mai le mie aspettative. 
Leggere un libro di seki.
Ho da poco terminato di leggere MonLa Porta
E’ un romanzo particolare: introspettivo, triste, malinconico. Allo stesso tempo, intriso di una caparbia forza, unica, come quella che può derivare soltanto da un rapporto di coppia come quello di Sosuke ed Oyone, i due protagonisti della vicenda. Un legame morboso nella sua esclusività. Tanto assoluto da risultare isolante. Tanto appagante quanto estraniante.
Si può concepire un’esistenza a due? 
Ci si può bastare a vicenda, rinunciando perfino al proprio ruolo in società? 
Ad ognuno di noi la risposta. seki non ce la fornisce nel romanzo, ma è come sempre sontuoso nel trasmetterci tanto le ansie, i disagi ed i fantasmi che assillano i due sposi quanto la loro perfetta simbiosi, inattaccabile e rassicurante.


La storia di Sosuke ed Oyone rappresenta la spina dorsale del romanzo. Il narrato si svolge attorno ai dubbi ed ai tentennamenti di Sosuke, alla ricerca di una via di fuga. Da una lotta interiore per cercare di restituire un senso ad una vita che avrebbe potuto essere ogni cosa e che ha finito invece per essere solo negazione. Da un complicato rapporto personale con il fratello minore Koroku, con la famiglia adottiva dei Saeki ed ancor prima, alle prese con un perenne tentativo di districarsi dal groviglio di una vita che lo vede inizialmente come soggetto passivo, lasciando al trascorrere delle pagine il compito di affidare una spiegazione razionale al suo comportamento nei confronti dell'esistenza stessa. 
Nel rincorrersi delle sue giornate scopriamo progressivamente i dettagli che ne determinano l’apparente apatia nei confronti dell’esterno ed un permeante senso di inedia, che lo rende talvolta fastidioso. I gesti lenti e rispettosi di Oyone ci accompagnano nelle stanze della loro abitazione e nei meandri della loro quotidianità, restituendo ad entrambi, pagina dopo pagina, una sempre maggiore piacevolezza.
Perché Sosuke ed Oyone trovano la loro ragione di vita solo nel rapporto coniugale, unico appiglio a cui entrambi si aggrappano con ogni forza, per far fronte ad una vita che li ha relegati a comparse isolate. Una porta che Sosuke ed Oyone cercano di oltrepassare senza fortuna e sulla cui soglia finiscono a turno per rifugiarsi, un po' sconfitti, un po' vincitori.
"Così la coppia, non potendo trovare sbocco verso l'esterno, si era proiettata sempre più verso l'interno. Perdendo l'ampiezza della vita, ne aveva accresciuto la profondità. Durante quei sei anni, invece di cercare scambi occasionali con il mondo intorno a loro, i due sposi avevano continuato a scavarsi reciprocamente nel cuore, finendo con l'appropriarsi l'uno della vita dell'altra. Dal punto di vista della società erano due individui distinti, ma nella loro concezione formavano un essere unico, moralmente inseparabile"
E’ la complessità dei personaggi ad impreziosire l’opera. Le rispettive sfaccettature e il sapiente dispensare dettagli da parte dell’autore, fino a formare un quadro che si completa minuziosamente entro la fine del volume. Lasciando ogni cosa al suo posto, incredibilmente.  
Non è solo la fluidità della scrittura, non si tratta solamente dell’onnipresente legame con la natura e non basta nemmeno la sua straordinaria capacità nella caratterizzazione dei personaggi per spiegare quanto sia unico ogni viaggio fra le pagine di questo immenso autore.

Japanese House, Engawa - Corner of a traditional japanese house, taken in Meiji-Mura, Inuyama, Aici-Prefecture
photo credit: Emzett85 - http://commons.wikimedia.org/wiki/File%3AJapanese_House_-_Engawa.jpg

Natsume seki racconta storie ordinarie, di persone ordinarie ed in contesti quotidiani. Lo fa con il disincanto di chi ha l’innata capacità di cogliere i paradossi della propria società sullo sfondo dei cambiamenti epocali che ha portato con sé la restaurazione Meiji. Mi affascinano in maniera unica le descrizioni del suo Giappone, di una Tokyo che gettava le basi per divenire quello che è ora. Un Giappone che ammalia per la sua bellezza e che al contempo spaventa per i suoi controsensi e le sue contorsioni.
Mi lascia senza parole la maestria con cui restituisce anima e profondità ai suoi personaggi, trasferendocene in maniera sublime i tormenti e le gioie. Protagonisti che potrebbero essere tranquillamente ciascuno di noi, con le proprie paure, i propri sogni di grandezza e le proprie grandi o piccole insicurezze. L’intreccio sapiente delle loro esperienze e storie di vita, rivelato poco alla volta, in maniera graduale.

Se Murakami strabilia nel trascinare sul piano onirico le situazioni più normali, senza nemmeno lasciare al lettore modo di rendersene conto, allora seki delizia con pennellate delicate di un Giappone che fu e che, a ben guardarci dentro, presenta ancora tanti punti di contatto con l’attuale condizione nipponica.
Quello che mi sorprende ogni volta è il piacere fine a se stesso che ricavo dalla lettura delle pagine di seki. Dal modo in cui riesce a farmi avvertire sulla pelle il trascorrere delle stagioni, gioire di una domenica di sole o rattristarmi per la pioggia battente. Cammino sui soffici tatami delle abitazioni dei suoi protagonisti e percepisco lo scricchiolio del legno nell’engawa. E’ il contatto diretto, quasi epidermico con i paesaggi che animano le sue opere a farmelo apprezzare sopra ogni misura.
"Perché tutto era iniziato allora, sul finire dell'inverno, alle prime avvisaglie della primavera, e quando i fiori di ciliegio si erano dispersi lasciando il posto al verde tenero delle foglie nuove era già troppo tardi. Era stata una lotta per la vita o per la morte. Una sofferenza pari a quella del tenero bambù che viene torchiato per farne uscire l'olio. Un vento impetuoso li aveva colti di sorpresa e travolti. Quando si erano rialzati, erano già sporchi di sabbia. Lo ammisero. Ma non avrebbero saputo dire in quale momento erano stati gettati a terra"
Ritratto di Natsume Sōseki, from Wikipedia
Con seki mi capita di provare appagamento al termine di un capitolo in cui gli eventi narrati risultano del tutto secondari, talvolta assenti. 
E’ la negazione del coinvolgimento basato sull’azione, un paradosso che mi capita di sperimentare solo con le sue opere. 
Non leggo seki per “vedere come va a finire” e devo ammettere che lo leggo sempre meno per la vicenda in sé che racconta. 
La trama diventa un meraviglioso dettaglio ancillare a legare insieme mille accessori, che sono i veri protagonisti del tutto. 
Leggo seki perché mi abbevero del contorno, che nelle sue opere diventa sostanza. Dei particolari, delle sfumature. Di quella sua capacità di essere diretto, senza fronzoli ed essenziale, lasciando ugualmente alla mia immaginazione un’incredibile libertà di rielaborare e spaziare a mio piacimento. Leggo seki per la gioia di immedesimarmi, ancor prima che nei suoi personaggi, nelle ambientazioni che la sua penna ha saputo rendere.
Non è lentezza, seki. E’ piuttosto il gusto, quasi zen, di lasciare assaporare con il giusto tempo un contesto. Sia di tipo ambientale che psicologico. Che trovo sia la cosa più difficile ed allo stesso tempo più immensa che chi scrive può riuscire a trasmettere a chi legge.

Ho letto il mio primo seki ormai diversi anni fa. Kusamakura, Guanciale d’erba. Ha attirato la mia attenzione in stazione Termini a Roma, in quella splendida edizione della Neri Pozza. L’ho sfogliato per curiosità quando il treno ha iniziato a muoversi verso casa e l’indomani lo avevo già finito di leggere. La prima di una lunga serie di volte. Perché, anche a distanza di anni, quel libro rimane sempre, per me, qualcosa di inarrivabile. Per sensazioni e suggestioni. Per licenza di astrazione.
Sono passato con immenso piacere attraverso le pagine di Sorekara, E poi (incantevole anticamera di questo La Porta, in una ideale trilogia che vede il primo volume in Sanshiro, che ancora non ho letto) e dell’acclamato Io sono un gatto, che definire geniale è forse riduttivo. 

Il prossimo è già lì che attende. 
Da un po’, a dire il vero, perché l’aspettativa è altissima e mi piace lasciare che l’attesa aumenti il piacere.

Kokoro, Il cuore delle cose
Non vedo l’ora.

4 commenti:

  1. Bellissimo il tuo commento di questo romanzo di Soseki! Qualche tempo fa ho comprato "Io sono un gatto" ma ho sempre aspettato il momento giusto per godermelo. Dopo aver letto questa tua recensione ed i tuoi apprezzamenti sull'autore non posso più attendere oltre. Lo leggerò al più presto e ti farò sapere!

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    1. Hai fatto bene, "io sono un gatto" richiede proprio la giusta disposizione per essere apprezzato. Sono sicuro che ti piacerà, personalmente è uno dei libri più originali che mi sia capitato di leggere... Attendo le tue impressioni allora!
      Grazie Ale, a presto!

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  2. che dire...mancavo da un po dalla lettura del tuo blog.il tuo modo di commentare queste "storie ordinarie" mi ha incuriosita parecchio.chissà magari farò la mia prima lettura giapponese.
    Giorgia ^_^

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    1. Mi fa molto piacere!
      Sai che hai solo da chiedere, per iniziare, ciao!

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