Il casello di Poggio Imperiale.
La SSV, la strada a scorrimento veloce del Gargano.
Il caldo che brucia l’asfalto ed avvampa nell’abitacolo,
sulle guance, dai finestrini aperti.
Quei tornanti avvitati su se stessi che accompagnano
pneumatici, cuore ed occhi sempre più giù, fra curve a gomito, vegetazione
verde scuro e roccia bianca. Penombra fitta, troppi rifiuti a bordo
carreggiata, le insegne scolorite ed i manifesti strappati del Waikiki.
Poi di colpo, senza alcun preavviso, la distesa blu del
mare, che squarcia la vista e blocca il respiro, mentre sfuma dall’azzurro, al
verde, al blu scuro. Fino a fondersi con l’orizzonte. E mille puntini bianchi
che si arrampicano sulla costa, puntellando il promontorio dalla spiaggia, su
fino al cielo.
Bisogna vederla, Peschici, per capire quanto sia bella.
Bisogna abbracciarla lentamente, man mano che si dischiude
alla vista, con i tornanti che la svelano e subito la rioccultano.
Bisogna che ti abbagli la mattina presto, quando il sole le
sorge alle spalle. Che ti stordisca a mezzogiorno, con i raggi che sbattono
violenti sui tetti piatti delle sue case bianche, facendoli tremolare di
calore. Bisogna che ti rapisca la sera, arrossata da un tramonto che la inonda
sfacciato in pieno viso. O che ti incanti di notte, quando mille luci si specchiano,
tremolanti, sull’acqua, sotto ai trabucchi.
Per innamorarsene.
Le stradine ciottolate del centro storico, sconnesse.
Strette, fra i muri delle abitazioni, con i gradini in pietra che conducono a
portoni in legno scheggiato. Il fresco dei vicoli, puliti ed accoglienti, che
isola dal sole a picco dell’estate pugliese. I balconi che si toccano l’un
l’altro, file di panni stesi da casa a casa. Le ringhiere in ferro battuto
delle terrazze che si aprono sull’adriatico. Salite e discese, pertugi che
scortano gli occhi a perdifiato dal paese fino al mare. Botteghe d’arte,
granite a 1 euro, l’odore del cuoio lavorato e le piume di copricapi indiani
che fuoriescono da una porta qualche gradino più in basso. I dipinti a olio su
tela del trabucco, della spiaggia, delle case bianche. L’odore di incenso da un
negozio che si mescola con quello proveniente dalla vicina chiesa.
I fuochi d’artificio che esplodono in cielo nella notte di
Sant’Elia, per poi spegnersi in mare, sulla banchina del porto. Le focacce al
pomodoro, alle patate o alle cipolle. Le paposce, il caciocavallo alla brace e
la seppia ripiena.
La sabbia a granelli fini della mia spiaggia, che degrada in
maniera esasperantemente lenta verso il mare, affondando per poi risalire sulla
secca. Che sembra di poter camminare fino in Albania con il mare alle caviglie.
Da trabucco a trabucco, da destra a sinistra, dall’alba al tramonto.
Quella baia unica, San Nicola, con la quale abbiamo
finalmente fatto pace dopo sette lunghi anni di ferita aperta. Da quel 24
luglio del 2007, quando il fuoco avvolse ogni cosa.
Oggi, vedere Peschici nuovamente in ginocchio, sfigurata
dall’alluvione, fa male.
A sette anni dal fuoco, l’acqua.
E il pensiero vola inevitabilmente a tutti quelli che purtroppo, come
noi, avranno bisogno di molti anni per fare di nuovo pace con Peschici.
Beh che dire......mi associo in tutto con grande partecipazione emotiva...
RispondiEliminaUn abbraccio a tutti coloro che dovranno per forza rialzarsi.
Luca
Grazie Luca, è proprio vero...bisogna rialzarsi, sempre!
EliminaLuoghi incantevoli e scorci che rimangono nel cuore. Un'alluvione non può e non deve farci perdere tutto questo. Sono sicura che con forza e coraggio, sapranno riprendersi anche da questo brutto momento ed il sole tornerà a baciare quella terra, così ricca di tradizioni e di calore. Molto belle le tue foto, ciao Filippo, buon fine settimana!
RispondiEliminaSenza dubbio, ne sono convinto anch'io.
EliminaGrazie Alessandra, buona settimana a te!