martedì 9 settembre 2014

Peschici. Dal fuoco all'acqua.

Il casello di Poggio Imperiale.
La SSV, la strada a scorrimento veloce del Gargano.
Il caldo che brucia l’asfalto ed avvampa nell’abitacolo, sulle guance, dai finestrini aperti.
Quei tornanti avvitati su se stessi che accompagnano pneumatici, cuore ed occhi sempre più giù, fra curve a gomito, vegetazione verde scuro e roccia bianca. Penombra fitta, troppi rifiuti a bordo carreggiata, le insegne scolorite ed i manifesti strappati del Waikiki.
Poi di colpo, senza alcun preavviso, la distesa blu del mare, che squarcia la vista e blocca il respiro, mentre sfuma dall’azzurro, al verde, al blu scuro. Fino a fondersi con l’orizzonte. E mille puntini bianchi che si arrampicano sulla costa, puntellando il promontorio dalla spiaggia, su fino al cielo.
Bisogna vederla, Peschici, per capire quanto sia bella.


Bisogna abbracciarla lentamente, man mano che si dischiude alla vista, con i tornanti che la svelano e subito la rioccultano.
Bisogna che ti abbagli la mattina presto, quando il sole le sorge alle spalle. Che ti stordisca a mezzogiorno, con i raggi che sbattono violenti sui tetti piatti delle sue case bianche, facendoli tremolare di calore. Bisogna che ti rapisca la sera, arrossata da un tramonto che la inonda sfacciato in pieno viso. O che ti incanti di notte, quando mille luci si specchiano, tremolanti, sull’acqua, sotto ai trabucchi.
Per innamorarsene.

Peschici è un piccolo gioiello, incastonato nel promontorio del Gargano.


Le stradine ciottolate del centro storico, sconnesse. Strette, fra i muri delle abitazioni, con i gradini in pietra che conducono a portoni in legno scheggiato. Il fresco dei vicoli, puliti ed accoglienti, che isola dal sole a picco dell’estate pugliese. I balconi che si toccano l’un l’altro, file di panni stesi da casa a casa. Le ringhiere in ferro battuto delle terrazze che si aprono sull’adriatico. Salite e discese, pertugi che scortano gli occhi a perdifiato dal paese fino al mare. Botteghe d’arte, granite a 1 euro, l’odore del cuoio lavorato e le piume di copricapi indiani che fuoriescono da una porta qualche gradino più in basso. I dipinti a olio su tela del trabucco, della spiaggia, delle case bianche. L’odore di incenso da un negozio che si mescola con quello proveniente dalla vicina chiesa.



I fuochi d’artificio che esplodono in cielo nella notte di Sant’Elia, per poi spegnersi in mare, sulla banchina del porto. Le focacce al pomodoro, alle patate o alle cipolle. Le paposce, il caciocavallo alla brace e la seppia ripiena.
La sabbia a granelli fini della mia spiaggia, che degrada in maniera esasperantemente lenta verso il mare, affondando per poi risalire sulla secca. Che sembra di poter camminare fino in Albania con il mare alle caviglie. Da trabucco a trabucco, da destra a sinistra, dall’alba al tramonto.


Quella baia unica, San Nicola, con la quale abbiamo finalmente fatto pace dopo sette lunghi anni di ferita aperta. Da quel 24 luglio del 2007, quando il fuoco avvolse ogni cosa.

Oggi, vedere Peschici nuovamente in ginocchio, sfigurata dall’alluvione, fa male.
A sette anni dal fuoco, l’acqua.

E il pensiero vola inevitabilmente a tutti quelli che purtroppo, come noi, avranno bisogno di molti anni per fare di nuovo pace con Peschici.          

4 commenti:

  1. Beh che dire......mi associo in tutto con grande partecipazione emotiva...

    Un abbraccio a tutti coloro che dovranno per forza rialzarsi.

    Luca

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    1. Grazie Luca, è proprio vero...bisogna rialzarsi, sempre!

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  2. Luoghi incantevoli e scorci che rimangono nel cuore. Un'alluvione non può e non deve farci perdere tutto questo. Sono sicura che con forza e coraggio, sapranno riprendersi anche da questo brutto momento ed il sole tornerà a baciare quella terra, così ricca di tradizioni e di calore. Molto belle le tue foto, ciao Filippo, buon fine settimana!

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    1. Senza dubbio, ne sono convinto anch'io.
      Grazie Alessandra, buona settimana a te!

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