Sarà il mettere piede in camper o forse il
tornare, dopo un bel po' di tempo, a viaggiare per correre. Fatto sta che c'era
parecchia carica positiva in questa 24 ore di fuga dalla quotidianità.
Venezia non è mai stata la nostra meta preferita.
Una città difficile, pur oggettivamente
meravigliosa. Sempre troppo qualcosa o sempre troppo poco qualcos'altro, ma mai
esattamente come la cercavamo.
Venezia rievoca in me ricordi vividi di un Milan-Samp
di non so quanti anni fa, ascoltato con la radiolina all'orecchio nel giorno
del ruggito blucerchiato di Ruud Gullit, da grande ex. Sconfortante, lo
ammetto. Per i miei, di certo dev'esserlo stato, al tempo.
Era difficile prevedere che sarei stato io, un
giorno, a spingere per tornarvi, mosso per di più dal desiderio di visitare una
mostra allestita in uno dei palazzi che tanto i miei mi decantavano, dedicata alle opere di un pittore dell'Ottocento giapponese.
Sabato pomeriggio, sotto un sole spettacolare per
essere fine ottobre, scherzavamo proprio su quanto questa realtà rappresenti
un'inconfutabile evidenza del tempo che passa. Specie se associata al fatto che
ad entrambi, per la prima volta, Venezia è apparsa ... parecchio suggestiva.
E allora abbiamo glissato, attribuendo al fattore
"corsa" il merito del miracolo.
Ciononostante, una volta scesi dall'autobus in
piazzale Roma, non è stato difficile optare per una bella camminata a piedi.
Una discreta scarpinata, fra vicoli, ponticelli e canali. Fino a piazza San
Marco ed ancora oltre, immaginandoci in quello stesso sfondo, il giorno
seguente, con la medaglia al collo.
Palazzo Grimani sorge a Santa Maria Formosa in un
cortile riservato, silenzioso, lontano dagli sfarzi della vicina Fenice, di
piazza San Marco o di altri edifici ben più noti nei paraggi. È adatto per
ospitare la mostra di Hiroshige, intimo, in maniera appropriata. L'imponente
scalinata si apre su un largo salone, in penombra, sulle cui pareti troneggia
l'illustrazione che fa da vetrina alla mostra. Ci viene suggerita la direzione
di visita, le informazioni di dettaglio relative alle stampe esposte sono a
fianco delle opere, raccolte in esplicativi pannelli bibliografici. Apprezzo
l'autonomia, di tempo e soggettività, che le luci soffuse e l'assenza di
guida onnipresente conferiscono all'allestimento. Permettono di gustarsi le
opere con i propri ritmi.
Il titolo della mostra è “Hiroshige. Da Edo a Kyoto: vedute celebri del Giappone. La collezione del Museo d’Arte Orientale di Venezia” e sarà disponibile fino all’11 gennaio 2015.
Nell’ambito dell’allestimento, trovano
collocazione le xilografie policrome di Utagawa Hiroshige (1797-1858), uno dei
supremi esponenti dell’ukiyo-e
(immagini del mondo fluttuante, della vita che passa), indiscusso maestro del
paesaggio ed assoluto protagonista dell’arte giapponese, definito il “cantore
della natura”.
Tutte le opere esposte sono conservate presso il
Museo d'Arte Orientale di Venezia.
Si inizia con il Soga monogatari Zue (Storia dei
Soga), serie composta da Hiroshige fra il 1846 ed il 1847. Le stampe sono
ispirate alle vicende (fine XII secolo) dei due fratelli Soga, Gorō Tokimune e Jūrō Sukenari, che decidono di
vendicare la morte del padre, ucciso da Kudō Saemon Suketsune quando erano
ancora bambini, sacrificando la loro stessa vita.
Le
stampe, verticali, fondono il genere musha
e (guerrieri ed eroi) con quelle teatrali, visto che la vicenda era molto
popolare nelle rappresentazioni di teatro jōruri, nō e kabuki.
Nella
sala successiva, ci si tuffa nell’atmosfera di una delle serie più famose di
Hiroshige, la “Gojūsan tsugi meisho Zue”, o cosiddetta Tōkaidō tate e, “Tōkaidō verticale”, con
le vedute delle sue 53 stazioni di posta, pubblicata nel 1855.
Il Tōkaidō (alla
lettera, strada del mare orientale) è la via che metteva in comunicazione le
due antiche capitali imperiali: Edo (attuale Tokyo) e Kyoto. Una strada lunga
oltre 500 chilometri, percorsa incessantemente da viandanti, pellegrini,
guerrieri e feudatari, dal fascino memorabile, tanto da ispirare all’artista
diverse serie di xilografie, a partire dal 1833, incentrate sugli splendidi
scorci in concomitanza delle famose “53 stazioni di posta”.
stazione n. 17 - Yui |
Fra le
mie preferite in assoluto, la stazione numero 17, dedicata a Yui ed al
ripidissimo sentiero sul Passo Satta e la 54, che raffigura la veduta del lago
e della città di Ōtsu dalla sala dedicata a Kannon nel tempio di Mii.
Particolarmente incisiva anche la numero 13, Numazu, con la veduta dei monti
Ashigara e del monte Fuji.
stazione n. 54 - Ōtsu |
In tale
serie, Hiroshige sceglie un punto di osservazione elevato, rispetto al panorama
rappresentato, che sovrasta le figure umane. Una necessità stilistica imposta
dalla scelta del formato verticale, piuttosto desueto per l’epoca, se accostato
alla rappresentazione di paesaggi. Scelta che sarà ripresa anche in un’altra
serie capolavoro del pittore, espressione della propria maturità artistica,
composta poco prima della morte: le “100 vedute di luoghi celebri di Edo".
Scenografico
l’impatto della sala con i volumi di stampe xilografiche, di proprietà del
Museo d’Arte Orientale di Venezia, rilegati e tenuti sotto teca.
Molto
interessante anche l’allestimento della Tōto Kyūseki Tsukushi (Racconti
illustrati dell’antica Edo), nella quale Hiroshige abbandona il soggetto
prediletto, ovvero la rappresentazione dei paesaggi, per dedicarsi al tema di carattere
storico e leggendario, come imposto dalle riforme dell’era Tenpo (1830-1844).
La serie, pubblicata nel 1845, abbina gli scorci più caratteristici di Edo alle
leggende del folklore giapponese.
Mi è
piaciuto particolarmente, infine, l’ultima serie realizzata dall'artista nel
1858, Le trentasei vedute del Fuji, nella quale è evidente l’influenza
artistica delle opere di Hokusai.
Opere
di valore, ottimamente conservate, altrettanto ben esposte e soprattutto
perfettamente valorizzate con adeguate informazioni e note esplicative. Ho decisamente apprezzato l’allestimento volutamente intimista, silenzioso e
con luci basse.
Unica
pecca, la brevità dell’esposizione. Mi sarei trattenuto ben oltre l’oretta di
visita, dato l’interesse dei contenuti, ma purtroppo le opere esposte non erano
tantissime.
Così, a mostra conclusa, ne abbiamo approfittato per goderci un’altra passeggiata per Venezia al
tramonto, sfruttando l’ultimo giorno del 2014, prima del cambio dell’ora. Che
con l'avvento di quella solare, è ufficialmente inverno, a casa mia.
Aria
pungente, cielo da copertina ed il Giappone che si fa di colpo lontano.
Perché
sui ponti, la testa già corre alla mattina seguente e a quei 10 chilometri di pura
adrenalina che ci attendono.
Nessun commento:
Posta un commento